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LE “PRIGIONI DORATE” NELLE RELAZIONI

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LE “PRIGIONI DORATE” NELLE RELAZIONI

In qualsiasi tipo di relazione umana entrano in gioco tantissimi fattori: personalità, cultura, valori, società, disposizioni naturali, che si intersecano sempre in modo differente e complesso a seconda degli individui coinvolti. 

Entrare in relazione è cosa assai spontanea per l’uomo, tant’è che viene spesso definito per questo motivo “animale sociale”, ma è altrettanto vero che vi sono delle situazioni in cui più che esserci dei ponti di collegamento e contatto con l’altro, ci sono muri e contrapposizioni che sembrano invalicabili e non superabili. E ciò che al principio era motivo di unione si trasforma poi in motivo di divisione e/o separazione. Questo vale in amicizia, amore, rapporti di lavoro ecc..
È facile oppure difficile entrare davvero in contatto con un altro?
Sarebbe onesto iniziare col dire che i rapporti idilliaci non esistono! Sono costruzioni mentali spesso di stampo narcisistico e proiettivo che hanno più a che fare con la conservazione e preservazione del proprio ego, che non con l’interesse genuino di conoscenza e costruzione relazionale e comunicativa efficace con altri individui diversi da sé.
Non esistono nemmeno le persone perfette o infallibili che esaudiscono tutte le nostre aspettative.
Siamo semplicemente esseri umani, con le nostre debolezze, le nostre fragilità, i nostri malumori e i nostri momenti no.
Non si può pensare o pretendere di essere sempre perfetti, giusti, detentori della verità assoluta.
Nessuno lo è realmente.
In questa vita, a volte meglio e altre peggio, si tenta di combattere come si può, si cerca di donare amore e comprensione, di migliorarsi, di mettersi in discussione, di pazientare, anche se a volte è certamente difficile essere pronti alla battaglia.
Ci sono circostanze in cui non si è in grado di agire e re-agire per il meglio, in modo funzionale, e ci si fa trasportare dalla corrente emotiva.
Viviamo con le nostre sensazioni, i nostri pensieri e spesso ci raccontiamo tante storie, ma non dovremmo credere ciecamente a tutto ciò che ci raccontiamo, né a ciò che gli altri raccontano di noi.
Ci sono eventi che non si possono cambiare, non possiamo avere altre occasioni a volte, non possiamo rimediare, siamo immersi nella casualità, impotenti.
Nulla può rimanere immutato e può essere realmente controllato e/o previsto.
La verità è che in alcuni momenti ci si vorrebbe lasciar andare, arrendersi, sentirsi liberi di gettare l’orgoglio, la paura, la colpa, il coraggio e la volontà per smettere di pensare e sentire. Ma ciò non è possibile, in alcun modo, poiché siamo esseri intrinsecamente contraddittori, la nostra natura stessa non ce lo permette, se non per illusione. Non possiamo smettere di agire o volere, noi siamo azione e volontà, fiamma e spinta vitale.
Si ha però, in certi casi, l’illusione di essere come sospesi e si vorrebbe rimanere lì, nell’indefinito, dove gli affetti, le emozioni, le relazioni e i sentimenti non sono in vendita o seguiti da logiche o vincoli del tipo:
“Ti amo o ti voglio bene solo se fai quello che da te mi aspetto, se sei come voglio io, se mi accontenti, se mi dai qualcosa di cui necessito”…
Questo è un RICATTO AFFETTIVO inaccettabile per un essere umano, è una PRIGIONE di finto amore, torbida, frustrante, che risucchia le energie e la positività, la voglia di vivere, che soffoca i sorrisi, il senso di libertà e che incatena.
Se qualcuno, consciamente o inconsciamente, è vittima di questo circolo vizioso o sta contribuendo anche nel suo piccolo a costruire queste “prigioni dorate” di illusione, proiezione e idealizzazione, cerchi al più presto di rimediare e non continuare, anzi vada anche contro se stesso per demolirle.
È un qualcosa che bisogna fare, per l’AMORE e il RISPETTO autentico verso se stessi e gli altri.
Nelle relazioni SANE ci si viene incontro a vicenda, ci si mette in discussione, ci si può mettere a nudo non solo fisicamente ma anche psicologicamente ed emotivamente, ci si arricchisce interiormente, e si è portati al dono in maniera da essere veramente pronti anche a ricevere, si RESPIRA un’aria sempre aperta al nuovo, al mutevole e NON SI SOFFOCA, non ci si sente costretti o senza via d’uscita, ma ci si sente in piena comunione e contatto con l’altro proprio come i pezzi di un puzzle che si completano a vicenda proprio perché diversi ma COMPLEMENTARI.

Costruire e tenere insieme una relazione sana ed equilibrata dunque è difficile, richiede maturità, impegno, responsabilità, coraggio, volontà, fiducia, forza, altruismo, serietà, leggerezza, ascolto, comprensione, empatia.

La bellezza di essa sta proprio nel fatto che è sempre un’avventura dall’esito incerto, e che, come la vita, la chiave del “mistero” sta nel percorso, in come decidiamo di camminare e con-dividere l’esistenza terrena.

Carlotta Cadoni

 

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LA DINAMICA DELL’ASCOLTO

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Cosa significa “ascoltare”? E perché è importante?

Si potrebbe dire che per ascoltare l’utilizzo delle sole orecchie non è sufficiente. L’ascolto è un modo  di porsi alla vita e a ciò che ci circonda, è un modo per essere presenti a se stessi e anche agli altri. E’ come se stessimo mettendo in funzione quelle “antennine” del nostro esser-ci per sintonizzarci meglio sulle varie frequenze di tutto ciò in cui siamo immersi. L’ascolto presuppone interesse e attenzione verso qualcosa, empatia, disposizione a donarsi non per ricevere ma per liberarsi dal peso dell’ignoranza e del torpore.

Pensiamo che la natura è un concatenamento di processi continui in eterna trasformazione di cui noi sappiamo davvero poco. La matrice dell’esistenza è per noi tutti un mistero, un mistero di cui però facciamo parte, anche se spesso lo rigettiamo, lo neghiamo facendoci forti di “casualità” ed “evidenze”, abbiamo necessità di definirlo. Noi stessi siamo un luogo misterioso, tentiamo di dare di noi stessi delle definizioni, addirittura diamo nomi alle sensazioni che proviamo per tentare di essere com-presi quando le comunichiamo agli altri attraverso il linguaggio. Siamo immersi nelle maglie dell’Universo, dei minuscoli puntini impigliati in una realtà spazio-tempo, dotati di una capacità che chiamiamo “auto-coscienza”. Difficile, molto difficile esistere. Esistere deriva dalla parola latina “existere” che significa “stare fuori”, quindi viene da pensare che forse per vivere da VIVO in questo mondo e questo tempo, è necessario stare per poi uscire dal proprio guscio, uscire dall’esistenza come monade (le monadi senza finestre di Leibniz), andare incontro al moto misterioso della vita e tentare di adottare uno sguardo obliquo come se fossimo un terzo occhio. Come se ci immedesimassimo in una prospettiva per così dire “aliena”, differente, creativa, e ci mettessimo virtualmente nei suoi panni.

Antiche popolazioni, alcune delle quali esistenti ancora oggigiorno, per fare ciò necessitano di isolamento, di riti, di preghiere specifiche. Sembra che, da questa prospettiva, il nostro compito sia quello di muoverci a cerchio, un cerchio dove STARE ed USCIRE sono inscritti l’uno sopra l’atro, e si sostengono a vicenda. Quando tentiamo di metterci davvero in ascolto, la prima sensazione che avvertiamo è un senso di estraneità, come quando si visita un posto nuovo e si ha la sensazione di perdersi. Questo è un grosso vantaggio che ci indica che siamo nel regno della POSSIBILITA’. L’ascolto, i passi verso l’”uscita” si conquistano con il dubbio, le domande, le incertezze e non si è MAI “cercatori” per avere qualcosa in cambio, che sia sicurezza, ragione, fama, denaro, affetto. La logica della compravendita ormai è permeata nel nostro modo di pensare e vivere, condiziona persino i nostri sentimenti, le nostre emozioni. La verità, se di verità si può parlare, è che essa è DELETERIA per noi tutti. L’essere umano è un essere della natura, e la logica della compravendita non rientra nei tempi e nel movimento naturale. L’accumulo, l’importanza data all’avere sono dei mutilatori che distruggono e consumano la nostra linfa vitale. Lo fanno costantemente, sin da quando nasciamo, giorno dopo giorno, a volte ci sentiamo stanchi, fiacchi, senza energie, stiamo in piedi solo perché dobbiamo, facciamo tutto in modo automatico, senza trasporto, senza passione, dimenticandoci di quello che “vogliamo” o desideriamo per seguire ciò che invece conviene. Questo è un modo considerato intelligente che ci fa alieni a noi stessi.

L’ascolto è legato fortemente all’intelligenza, che non è un mondo a parte rispetto a quello delle emozioni e dei sentimenti. Siamo abituati a pensare all’intelligenza come qualcosa da misurare, e a parlarne in modi che non rispecchiano il suo reale significato. “Intelligere” significa “LEGGERE DENTRO” o “SCEGLIERE TRA”, ciò significa che è la capacità legata all’intuito, di leggere dentro, più in profondità nelle cose che ci circondano, la capacità di andare oltre l’apparenza e la superficie, di creare concetti, connessioni e legami tra le cose. Per leggere dentro è necessario, oltre all’intuito, umiltà, scaltrezza, e soprattutto lasciare e disfarsi dei bagagli delle proprie credenze pre-costituite che causano inevitabilmente degli appannamenti, dei divieti, dei pregiudizi che imbrigliano e indirizzano il nostro sguardo. La sicurezza, la staticità, non rientrano nell’essenza stessa dell’intelligenza. ESSERE intelligenti presuppone una certa non curanza delle regole, passione per la scoperta, paura ma anche coraggio, pazienza, perseveranza, ingenuità, è pur vero che bisogna essere un po’ degli “sprovveduti” per spingersi fuori dal nucleo del tutto visto, del tutto capito e del tutto conosciuto.

E così, la maggioranza delle volte, preferiamo essere sordi e ciechi lasciando indietro la natura che ci anima. Ma se non conosciamo, o conosciamo molto poco di essa, come e quando possiamo ri-conoscere? Sin da quando siamo all’interno dell’utero materno, non a caso, il primo apparato a formarsi dal caos della creazione è proprio quello uditivo. Il feto “sente” e percepisce lo spazio, le voci, i suoni, i rumori dal piccolo mondo caldo e confortevole del grembo materno, e lì si trasforma. All’interno del silenzio ovattato del liquido amniotico, STIAMO proprio ad ascoltare per prepararci così gradualmente ad USCIRE, per poi diventare SPECCHI del mondo e di noi stessi. In effetti, anche le scoperte più illuminanti che facciamo, sono tutte il frutto di un gioco di ri-conoscimento. E qual è il simbolo per eccellenza del riconoscimento? Lo SPECCHIO naturalmente! Per vedere però è necessario sintonizzarsi attraverso l’ascolto, e per ascoltare è necessario sforzarsi di vedere. Il punto fondamentale da tenere ben presente è che TENTARE è il mezzo e anche il fine, bisogna cioè sganciarsi dalla logica azione-mezzo-fine. Aprirsi totalmente a tutto ciò che è “possibile” è un’occasione di crescita continua, di apprendimento, non una semplice programmazione di azioni per il raggiungimento di uno scopo, è proprio qui che risiede la nostra “PRIGIONE” che impedisce di scegliere realmente.

Noi non ci muoviamo solo per ottenere qualcosa, in noi c’è una spinta, una fiamma che ci anima e per la quale siamo portati non solo ad agire, ma anche a pensare e “sentire” in modi del tutto personalissimi, propri e assolutamente unici. Anche se più persone vivono le stesse esperienze in medesimi contesti, esse non hanno mai UGUALE RISONANZA per tutti. Ognuno di noi come essere irripetibile “sente” il mondo e le esperienze a suo modo, un modo speciale connesso al Sé, alla vita, alla storia della famiglia, a quella dell’epoca in cui vive, al contesto socio-ambientale in cui è inserito. Noi non siamo il semplice derivato di questi, poiché noi ne siamo i registi, gli sceneggiatori, gli attori e spettatori, anche se non ne siamo sempre consapevoli in termini coscienti, e tendiamo a chiamare “destino” ciò che ci guida e che non conosciamo.

Dobbiamo imparare ad ascoltare, imparare a fermarci, a mettere in dubbio le nostre certezze, essere disposti al negoziato, a donare il nostro tempo e la nostra attenzione senza essere ossessionati dal guadagno, dalla perdita, dal giudizio, dall’abbandono. Nulla si perde, semplicemente perché in effetti nulla si ha o si possiede, che siano gli anni, che sia la salute, che sia il tempo, noi ci illudiamo sia così ma in effetti non li abbiamo affatto. Le persone, la salute, gli anni, il tempo non si possono possedere, ma sono esistenze di cui possiamo fare esperienza, di cui possiamo parlare, raccontare, verso le quali proviamo emozioni, sentimenti e che abbiamo necessità di definire.

Ci affanniamo così tanto e siamo talmente tanto presi da quello che dobbiamo fare o dai risultati che avremo, che questa folle maratona lascia indietro proprio quella parte di noi dimenticata, che chiede di essere ascoltata perché ignorata. Quella parte di noi senza tempo né luogo, quella senza cui saremmo soltanto degli automi tutti identici. E’ una parte che ci fa paura, che abbiamo timore di affrontare e guardare in faccia, dalla quale sovente scappiamo perché rompe gli equilibri, fa traballare le certezze, ci fa sentire impotenti, piccoli, fragili, fallibili. Una parte che Jung chiamava “Ombra”, che però spinge verso la DISILLUSIONE, e quindi verso il RISVEGLIO, la RINASCITA. Bisogna cambiare per conservare la propria natura, non si piò rimanere nella stagnazione, la staticità prolungata è mortifera ed è terreno fertile per la menzogna. Siamo spinti contemporaneamente da due forze contrapposte e complementari: la rottura di vecchi equilibri e la creazione di nuovi. Uno stato di equilibrio dinamico (omeostasi) si mantiene sino a che si crea un moto apparentemente caotico e sempre meno prevedibile degli elementi che lo costituiscono, e successivamente, da questo stato deriva per necessità un nuovo ordine. Questo è spiegato molto bene dal primo e dal secondo principio della termodinamica e dalla teoria del caos. Questo è anche ciò che succede sia dentro di noi (nel “nucleo” più intimo) sia attorno a noi. Il principio che regola il movimento, la dinamicità, l’evoluzione, la selezione è sempre lo stesso. E’ esso che ci permette di STARE per USCIRE e per avere la possibilità di RI-CONOSCERE e RI-ENTRARE. Ognuno di noi è un pezzo unico del medesimo cerchio. Siamo uniti a noi stessi, all’altro, al mondo e al creato, molto più di quanto possiamo esserne coscienti.

L’ascolto crea i ponti, le connessioni,  ci prepara a ricevere, ci mette in grado di donare, di affrontare l’ignoto, lo straniero, lo sconosciuto. Noi tutti abbiamo il dovere di essere i timonieri attivi della nostra barca, per non farci semplicemente trascinare dalle correnti delle acque. L’ascolto è sempre un “rivolgersi verso” qualcosa, e al classico “Penso dunque sono” sostituirei il più profondo “Sento dunque sono”.

 Il pensiero su una cosa non esisterebbe senza la nostra capacità innata di sintonizzazione, essa è creazione e trasformazione. Il pensare non è un freddo calcolo, ma è sempre colorato da sensazioni, percezioni, sentimenti, emozioni. Non è un caso il fatto che gli eventi a forte connotazione emotiva siano anche quelli meglio ricordati. L’ascolto attivo, nel quale pensare e sentire sono strettamente uniti, non favorisce solo curiosità, apprendimento, crescita, ma rende più efficiente la memorizzazione, il ricordo, la capacità di trovare soluzioni nuove nelle situazioni della vita, le abilità sociali e l’adattamento.

E’ complicato ascoltare? In effetti la risposta a questa domanda non è semplice e non può essere liquidata né con frasi fatte né tantomeno in poche righe. Anche quando non ce ne accorgiamo, l’ascolto presuppone sempre una reciprocità. Ciò significa che anche quando facciamo un monologo, stiamo entrando in relazione con parti che vivono dentro di noi. In poche parole per ascoltare non è necessario stare in luoghi affollati e rumorosi, esso è presente altresì nella solitudine, nel silenzio. Anzi, sarebbe più corretto affermare che l’ascolto ha le sue radici nel silenzio, in tutto ciò che precede una parola, un gesto, un pensiero. L’ascolto non solo precede ma è la conditio sine qua non grazie alla quale la nostra esistenza risulta possibile.

Si dice spesso: “Ci sono cose che non si possono esprimere con le parole”, e questo racchiude tutto il mondo misterioso, intangibile, e dinamico per il quale il pensiero, il linguaggio, l’interazione con l’altro possono aver luogo come potenze in atto (come direbbe Aristotele). Ecco, si potrebbe dire che non è un caso che l’ascolto sia lo strumento principe della psicologia e della psicoterapia. Psyché-logia significa discorso sull’anima, e la psyché è molto più che comportamento umano. Lo psicologo ha il dovere di sviluppare l’arte di saper ascoltare, poiché essa aiuta a vedere, a comprendere, a porsi nella prospettiva dell’altro, senza alcuna imposizione o impostazione metodologica pre-incartata.

Ascoltare permette di rispettare e limitare significativamente ingerenze di ogni sorta sull’altro. Permette di “entrare in punta di piedi” nei meandri di una realtà intima e nascosta, e sempre, per certi versi, sconosciuta.

L’ascolto è un INCONTRO. 

Carlotta Cadoni

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