Archivio mensile:Maggio 2018

L’OSSESSIONE: AUTO-DISTRUZIONE E SCELTA

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L’OSSESSIONE: AUTO-DISTRUZIONE E SCELTA

Uscire dal tunnel dell’ossessione è come uscir fuori da un meccanismo uroborico di auto-distruzione, un meccanismo verso cui si sviluppa spesso una sorta di “sindrome di Stoccolma”. La prigione che ci siamo costruiti è, per certi versi, comoda, confortevole, ci fa sentire più sicuri. In realtà ci annichilisce. Anche se ne siamo gli artefici e architetti, col tempo finisce per svilupparsi come essere che prende vita propria e che tende a schiacciarci e renderci schiavi.

prigione
L’ossessione è una creatura della nostra mente che, se “nutrita”, può arrivare a influenzare, inquinare e intaccare totalmente i nostri processi cognitivi, le nostre emozioni, le nostre percezioni. È fortemente “accentratrice”, ovvero tende a far girare tutto il moto cognitivo ed emotivo attorno a sé, annullando le nostre capacità auto-osservative e rendendoci impossibile il “virare” verso altri “orizzonti”. Un aspetto che la accompagna spesso, infatti, è la PARALISI DECISIONALE ovvero l’incapacità di prendere una decisione chiara, tempestiva e metterla in atto con efficacia.
Nel caso dell’ossessione qual è l’elemento che paralizza la presa di decisione e le relative azioni ad essa connesse?
Il “rimuginio mentale”, la RUMINAZIONE. L’ossessivo non è incapace di prendere decisioni di per sé poiché non è in grado di valutare le situazioni, i problemi e/o i contesti, ma è l’esatto contrario! Per tenere a bada l’ansia e la paura, per sentirsi più forte e sicuro, l’ossessivo ha necessità di vagliare con cura e meticolosità ogni aspetto di ogni probabile decisione che prenderà, questo ovviamente richiede un lavoro cognitivo e un impiego di energie di elevatissima entità che lo impegna e lo assorbe totalmente a tutti i livelli.
La molla principale del moto ossessivo risiede nella ricezione di conferme poiché è orientato fortemente al raggiungimento dell’obiettivo. Raggiungere l’obiettivo permette, a breve termine, di abbassare l’arousal di matrice ansiosa/angosciosa, cosicché le azioni messe in atto che hanno ricevuto un feedback positivo di conferma, saranno quelle ripetute con insistenza anche in futuro poiché risultate efficaci e “utili”. È facile, così, entrare all’interno di un circolo vizioso che si auto-alimenta e dal quale poi risulta difficile uscire.

ossessione

L’ossessione è spesso associata a disturbi dell’umore o fobico-ansiosi ed è basata su forti tendenze all’ordine e al CONTROLLO, per questi motivi è accompagnata da COMPULSIONI nella condotta. La compulsione diventa uno strumento necessario di “catarsi”, un impulso irrefrenabile per cui il soggetto si trova “costretto” ad agire automaticamente per porre fine all’ansia, o meglio, all’angoscia di annientamento.
Gli effetti dell’ossessione potrebbero essere rappresentati da un importante senso di SOFFOCAMENTO. Essa soffoca la libera espressione dell’essere, che viene totalmente sacrificata in favore della costruzione di una solida PRIGIONE DI SICUREZZA fatta di fuggevoli e brevissimi momenti di “sollievo” meccanici.
È possibile il cambiamento?
La risposta è sì, il cambiamento e la trasformazione sono le uniche certezze della vita.
Il cambiamento rappresenta un’inversione di tendenza, un cambiamento di rotta, e si deve primariamente “sentire” e “agire”. Quando non siamo in armonia con noi stessi infatti siamo soliti dire, non a caso, “Non mi SENTO bene”. Per ristabilire l’equilibrio, il nostro baricentro, è necessaria una buona dose di “NON PIETÀ” per sé stessi, una persona che vuole aiutarsi e spingersi in un altro “punto” di equilibrio deve essere “spietata” con se stessa, deve persino arrivare ad auto-sabotarsi, se necessario.
Gli stati depressivi, e/o ansiosi, o rabbiosi che accompagnano il vortice ossessivo sono tutti sintomi dello spostamento del nostro punto di equilibrio precedente che, evidentemente, ha bisogno e richiede di essere ri-stabilito. Per far ciò non è possibile continuare a costruire il sé personale nel punto ove aveva luogo il vecchio equilibrio che risulta mortifero, stagnante e alienante, ma è necessario spostarlo e ristabilirne uno nuovo.
Come riuscire a venir fuori dalla gabbia che ci siamo creati?
Quando si vivono dei momenti di difficoltà che sembra portino via tutte le energie necessarie per pensare e sentire, quando si arriva a non avere più speranza, a sentirsi impotenti e in balia degli eventi, bisognerebbe avere il coraggio di “abbandonarsi”.
Abbandonarsi non significa arrendersi o diventare passivi, ma significa DARSI UNA POSSIBILITÀ, darsi il tempo per maturare le risorse necessarie al cambiamento, significa avere la forza di lasciare che le cose accadano e che abbiano il loro corso “naturale”, significa mettere in pratica un vero e proprio ATTO DI “FEDE” verso sé e la vita, significa accettare l’ignoto, l’imprevedibile e il non programmato, semplicemente accogliendolo senza opporre alcuna resistenza, significa “attraversarlo”, accettare di averne paura, accettare la propria fragilità amandola e rispettandola. Per preservare l’esaurimento della propria energia psico-fisica si può SCEGLIERE di non contribuire a far nascere e alimentare vortici nocivi di pensieri ed emozioni ricorrenti che potrebbero trascinare il proprio essere alla deriva.
Il salto nel vuoto compreso nell’abbandono fa sì che questo vuoto sia spazio in cui tutto è possibile, dove ogni cosa può nascere.

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IL VUOTO È SPAZIO DOVE IL SILENZIO PARLA, ASCOLTA, E CREA.
L’ATTO DI FEDE È UN GRANDE ATTO DI FIDUCIA E DI AMORE, È LA PIENA CONSAPEVOLEZZA DI POTER SCEGLIERE DI AGIRE NELLA PROPRIA VITA COME PROTAGONISTI.

 

Carlotta Cadoni
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La legge dello specchio: coscienza e anima

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La legge dello specchio: coscienza e anima

“Anima mia, dove sei? Io parlo, ti chiamo…Ci sei? Sono tornato, sono di nuovo qui. Ho scosso dai miei calzari la polvere di ogni paese e sono venuto da te, sono a te vicino, dopo anni di lunghe peregrinazioni, sono ritornato da te.

Vuoi che ti racconti tutto ciò che ho visto, vissuto, assorbito in me? Oppure non vuoi sentire nulla di tutto il rumore della vita e del mondo? Ma una cosa devi sapere : una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta. Questa vita è la via, la via a lungo cercata verso ciò che è inconoscibile e che noi chiamiamo divino. Non c’è altra via. Ogni altra strada è sbagliata.

Ho trovato la via giusta, mi ha condotto a te, anima mia. Ritorno temprato e purificato. Mi conosci ancora? Quanto a lungo è durata la separazione! Tutto è così mutato. E come ti ho trovata? Come è stato bizzarro il mio viaggio! Che parole dovrei usare per descrivere per quali tortuosi sentieri una buona stella mi ha guidato fino a te? Dammi la mano, anima mia quasi dimenticata. Che immensa gioia rivederti, o anima per tanto tempo disconosciuta! La vita mi ha riportato a te. Diciamo grazie alla vita perché ho vissuto, per tutte le ore serene e per quelle tristi, per ogni gioia e ogni dolore. Anima mia, il mio viaggio deve proseguire insieme a te. Con te voglio andare ed elevarmi alla mia solitudine”.

(Carl Gustav Jung, Libro Rosso, pag. 232)

 

«Noi sopravvalutiamo terribilmente la coscienza[…]

so che la coscienza è per l’uomo la conquista più grande ma ciò non altera il fatto che in alcuni casi non ha alcun valore … perciò l’atto di pensare a una cosa consciamente non significa necessariamente che quella stessa cosa vi abbia toccato… È come se io dicessi a qualcuno: “C’è un piccolo cobra nella sua tasca” e quello si limitasse a rispondere molto serenamente: “Si tratta di questo, dunque, ma che cosa interessante!”. Un uomo di questo genere pensa di essere consapevole, ne è assolutamente convinto, ma in realtà non metterebbe mai la mano in tasca se capisse che cosa vorrebbe dire avere lì un cobra … raggiungerne il fondo … è un compito lungo e spaventoso».

(Carl Gustav Jung. Visioni. Appunti del Seminario tenuto negli anni 1930-1934, p. 91)

 

 

“Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo. L’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo. Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco. Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto.”

(Giordano Bruno)

 

 

La vita è una corsa, una folle corsa in cui pensiamo sempre al prossimo obiettivo da raggiungere, e non siamo mai contenti, mai soddisfatti e mai veramente presenti. I sentimenti, le emozioni sembrano passare in secondo piano, come degli orpelli inutili e superficiali. Non sappiamo più gioire delle cose semplici, non diamo importanza ai gesti nel nostro quotidiano, alle meraviglie che vediamo, alle persone che incontriamo. Siamo iper-connessi e chiusi nel nostro guscio, ogni cosa che non faccia parte di ciò che vogliamo avere al momento o in un futuro è considerata come un ostacolo da eliminare piuttosto che come opportunità da cogliere e integrare. La verità è che tutti possiamo costantemente usufruire di una moltitudine di “vetrine” che il magico mondo della “rete” mette a disposizione, ma invece che trasformarci in piccoli ragni che tessono la propria tela per connettersi al prossimo, siamo sempre più simili a delle mosche che vi restano disgraziatamente impigliate, pronte per esserne inglobate, inghiottite. Ma ci siamo soffermati per un attimo a chiederci a cosa ci porterà tutto questo? Dove vogliamo andare? Ci limitiamo ad esporre un’immagine di noi falsificata, abbellita, mostruosamente deformata per auto-convincerci che noi andiamo bene, che la nostra vita è bella e divertente, che abbiamo sempre ciò che vogliamo… Ma è davvero così? Siamo più bugiardi o più stupidi?

La verità è che gli esseri umani sono dei “simulatori” che hanno necessità del Grande “gioco di specchi” per capire se stessi e il mondo circostante. Il rischio, al giorno d’oggi, data la sovra-esposizione deviata alla simulazione, è rappresentato dal rimanere intrappolati nell’illusione che il “riflesso” sia la reale totalità dell’essere.

Ognuno di noi è portato a creare la propria realtà, il mondo esterno in cui viviamo è uno specchio nel quale è riflessa la forma solida della nostra immagine e contemporaneamente la nostra Ombra. Siamo chiamati ad imparare a “vedere”, ciò significa sviluppare uno sguardo obliquo interno volto ad osservare e comprendere emozioni, eventi, processi, connessioni, questo è il solo ed unico veicolo terreno, la sola via per stimolare la trasformazione e l’evoluzione della realtà del mondo, creato a nostra immagine e somiglianza.

Il mistero della vita ci comunica, attraverso l’altro, come siamo. Esso si regge sulla base della “Legge dello specchio” o “Legge dell’analogia” per cui ciò che è all’esterno di noi è come ciò che sta dentro noi, e non vi è alcuna distinzione o separazione tra essi, tutto è collegato, è Uno. Questa legge è intrinsecamente connessa all’anima (alla mortalità, all’esistenza terrena, al dinamismo emozionale) e alla presa di responsabilità, “riflette” il meccanismo della vita e il procedimento della natura per cui ogni cosa è perfetta e trova la sua realizzazione perché connessa col flusso vitale. Nel momento in cui vediamo nell’altro il nostro specchio, consentiamo allo spirito di manifestarsi in noi (il Padre, l’eterno, la rettitudine, il limite, l’orientamento, la guida). Ciò si può ritrovare anche negli scritti cristiani, quando il Cristo afferma “Ama il prossimo tuo come te stesso” o “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” esprime esattamente la legge della similitudine per cui tutto è uno, io sono l’altro e l’altro sono io. Da ciò ne deriva necessariamente che ognuno di noi attrae quello che ha dentro.

Il “caso” è un concetto artefatto prodotto dalla “Legge dei contrari” che è la principale via di visione del mondo che aderisce alla ragione e all’accettabilità sociale, condivisa, incoraggiata e protratta dalla maggioranza degli uomini. La legge dei contrari, è stata creata dall’uomo per aiutarsi nella formulazione di “categorie mentali” utili a dare “ordine” al caos del mondo. Essa è stata formulata come scialuppa di salvataggio per l’angoscia umana dell’annientamento e del Vuoto. Questo ci fa sentire più sicuri, meno in balia del fato, neghiamo il vuoto e il fluire della vita per poterla spiegare e prevedere meglio, arriviamo persino a negare e ignorare parti di noi stessi. L’altro (può essere una persona, un evento, un oggetto) è visto come estraneo da sé, come una potenziale minaccia, come causa esterna dei propri mali e vicende personali. Neghiamo la nostra Ombra e ci portiamo indietro il nostro (sempre più pesante) “sacco tossico” perdendo di vista la creazione del significato, del telos intrinseco alla vita.

Per segnare l’ubicazione dei luoghi e le direzioni sulla nostra mappa, procediamo non prestando attenzione al percorso! Noi non vediamo affatto il percorso, siamo troppo impegnati a disegnare la nostra mappa e creare la nostra bussola per orientarci, però non sappiamo dove mettiamo i piedi e il nostro sguardo è cieco! Per evitare il vuoto creiamo il caos!

Attraverso la “Legge dello specchio” non procediamo più alla cieca; essa ci permette di poter conoscere e riconoscere il percorso, guardandolo, passando attraverso esso senza evitarlo, accettando il vuoto, l’imprevedibile e il mistero. Ogni elemento vitale che risiede in esso è anche in noi, attraverso esso ci conosciamo, e conoscendoci impariamo naturalmente ad orientarci, semplicemente aderendo al flusso vitale.

Ognuno è chiamato a tendere verso la totalità (individuazione) anche se nell’esistenza terrena e limitata non potrà mai raggiungerla. Sta qui il compito di ciascuno di noi ed è qui che il “percorso” diviene di fondamentale importanza, più che la meta.

Il Tutto è un Grande Gioco.

 

 

“Devo accostarmi all’anima mia come uno stanco viandante, che nulla ha cercato al di fuori di lei. Devo imparare che dietro a ogni cosa da ultimo c’è l’anima mia, e se viaggio per il mondo ciò accade in fondo per trovare la mia anima. Perfino le persone più care non sono la meta e il fine della ricerca d’amore, ma simbolo della nostra anima.”

(Carl Gustav Jung)

 

Il “rispecchiamento” era conosciuto sin dai tempi più antichi, ed era un vero e proprio canale dell’agito, attraverso cui si potevano modificare o si poteva entrare a contatto con parti inesplorate dello “spirito” e conoscenza universale senza tempo, con la realtà archetipica che vive dentro noi, nell’inconscio collettivo (così denominato da C.G. Jung). Guardarsi allo specchio non è una pratica nata per essere utilizzata superficialmente dando attenzione e importanza esclusiva alla propria immagine corporea, bensì fa parte di un’antichissima tecnica utilizzata persino dagli sciamani dell’America Centrale e dell’ Asia Nord Orientale per annullare il pensiero cosciente rivolto a Sé, annientare il senso di sé personale, altrimenti detto “Ego” o “Presunzione costruita” o “Conoscenza artefatta”.

Qual era il fine?

Si dice che lo specchio aiutasse lo sciamano a “vedere il mondo”, ad essere massimamente centrato e presente. Il termine manciù “panaptu” indicante lo specchio, ha origine dalla parola “pana” che significa “anima”, “spirito”, con più precisione “Anima-ombra”.

Guardando lo specchio lo sciamano può vedere riflessa l’anima del “morto”, entrare in “estasi” attraverso il contatto con il VUOTO creatore ed accedere alla memoria del tutto. Per fare esperienza del Vuoto è necessario fermare la propria mente, prendersi una pausa in modo naturale e guardare con occhi fissi e immobili. Il Vuoto è uno spazio, e il nulla ne è una sua dimensione.

Analoga simbologia dello specchio può essere ritrovata, esposta in forma antropomorfa, nella mitologia classica. In particolare, è interessante mettere in luce la figura della dea Gorgo, il cui volto è simile a uno specchio/maschera per chi, con terrore, osa fissarlo. Le Gorgoni erano divinità femminili degli abissi marini e terrestri, dimoravano lontane dagli dei e dagli uomini, al di là del confine col mondo degli inferi, in cui si udivano le grida dei morti. Gorgo dimora nel mondo infero. Ella sorveglia le frontiere del regno di Persefone e il suo compito è quello di impedirne l’accesso ai vivi. Il vivo che desideri varcare la soglia deve guardarla in faccia e diventare come lei: una testa mostruosa e tenebrosa, un’ombra o un riflesso su uno specchio: una testa di morto.

medusastuck

Gorgo rappresenta l’alterità di questo mondo, la Notte, la Morte, il Numinoso, l’Estasi della possessione infera. Nessun essere umano può guardare Gorgo senza morire. In essa, nel suo volto, come nello specchio, s’incrociano e si confondono gli opposti: maschile e femminile, giovane e vecchio, umano e divino, celeste e infernale, vita e morte ecc..

Gorgo è simbolo dell’uscita dall’ego e dell’accesso all’Altrove, possibile mediante la trance estatica.

Proprio come uno specchio, la maschera di Gorgo riflette colui che, guardandosi si sdoppia, diviene altro da sé, qualcosa misterioso, oscuro, come un’ombra o un fantasma. Attraverso lo specchio, ci si ritrova, purché ci si divida, si appaia a se stessi come estranei, altri.

Lo specchio è illusione, apparenza, e al tempo stesso la realtà dell’Altrove.

Gorgoni

 

“[…]Così il mondo finisce per l’individuo che ha riconosciuto l’illusione del mondo. È anche l’idea orientale che attraverso la comprensione si trovano le radici della sofferenza che giacciono nel fuoco della bramosia, e se vengono negate o sradicate, il mondo, nella misura in cui l’individuo crea il mondo, si ferma; se l’individuo si ferma e si ritira nel Nirvana, il mondo rappresentato da quell’individuo finisce. Quindi lo specchio è ovviamente una funzione di conoscenza del Sè.”

(C.G.Jung, “Visioni. Appunti del Seminario tenuto negli anni 1930-1934, p.524)

 

Ogni specchio è una porta sull’Altrove.

Per ritrovare se stessi occorre perdersi.

 

Per l’essere umano ciò significa perdersi nell’Altrove e nel Numinoso attraverso il femminile, l’anima, la donna. Dobbiamo combattere e aprirci per ri-sentirci responsabili della vita che è in noi, soltanto in questo modo ri-avremo il potere creatore e consapevole per modificarla ed esserne i protagonisti. La nostra crescita può avvenire in modo meno traumatico e distruttivo se impariamo a riconoscere e accostarci alla nostra Anima, a darle voce e respiro, per ascoltarla ed esserne testimoni nella vita pratica. In quest’ottica nessuno è più vittima sacrificale di un’esistenza dura, imprevedibile e senza senso che, spesso, ci ferisce e per la quale ci sentiamo in balia di un “destino” crudele e ineffabile.

“Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”

(Carl Gustav Jung)

 

Carlotta Cadoni

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